Il nostro collega Pietro Delfini ci ha proposto il seguente articolo che si colloca nella direzione delineata dal Presidente del Coni nell’intervista rilasciata A SdS, la rivista della Scuola dello Sport (nr. 106, luglio – settembre 2015).
Eugenio Monti è primo nella graduatoria provvisoria della gara olimpica di bob a due.
Che sarà passato nella sua testa quando Toni Nash, il suo avversario più agguerrito, si è trovato nella condizione di non poter effettuare la sua manche, per aver rotto un bullone del piantone del suo sterzo?
“Che faccio? Gli presto il mio o provo a vincere a tutti i costi?”
Tra l’altro la prima opzione non è priva di “costi”.
Come pure la seconda, del resto, ma che ha però il piccolo difetto di non inquadrarsi nella cultura dello sport.
Vincere, invece, tramite un processo di programmazione complessivo che investa a lunghissimo termine sulla disposizione/disponibilità ad impegnarsi, nel rispetto delle regole è, tra l’altro, l’unica condizione che consente di sentire come proprio il valore del risultato conseguito.
E allora “vincere a tutti i costi” può essere tutt’al più l’imperativo che caratterizza il modus vivendi di troppi “tapascioni”, di alcuni di quelli che si cimentano nei circuiti dopolavoristici, ma che poco ha a che vedere con lo sport, perchè “Sport vuol dire cultura per i valori che esprime, per la dimensione che abbraccia, capace di contemplare ideali etici irrinunciabili che rappresentano la base di ogni società civile. Sport vuol dire rispetto, trasparenza, lealtà e fratellanza” (SdS, 106, p. 3).