A distanza di tre anni i Giochi tornano in Europa ripristinando la loro quadriennale cadenza.I Cinque cerchi planano sulla Tour Eiffel dopo che una ottusa e retriva volontà politica italiana aveva impedito a priori che atterrassero all'ombra del Colosseo.
Saranno certamente Giochi volti ad esaltare la " grandeur " sportiva e organizzativa della Francia a partire dalla Cerimonia d'apertura per la prima volta lontano dallo Stadio dell'Atletica celebrata sulle acque della Senna (teatro peraltro contestato di competizioni natatorie) come dono alla città tutta di Parigi.
Ancora una volta il grande evento cade in un momento denso di preoccupazioni internazionali con conflitti in essere e focolai di guerra in quasi tutto il mondo che hanno fatto invocare una ennesima ma inascoltata richiesta di tregua olimpica dimenticando peraltro che nella antichità non si sospendevano di fatto le belligeranze ma venivano rispettate e protette le moltitudini che in carovana si recavano ad assistere ai Giochi come una enorme transumanza umana prede indifese di assalti predatori.
Ogni edizione dei Giochi moderni presenta novità tecniche e inserimenti nel programma che spesso contrastano con la tradizione e lo spirito che informò il ripristino della grande parata di Nazioni e di giovani. Il programma di Parigi offre novità quantomeno stravaganti (break dance, arrampicata, skate) e gare inserite nel programma di nuoto e atletica (staffette miste e staffetta mista di marcia) utili solo per pareggiare il numero di donne e uomini partecipanti.
Quanto ai partecipanti italiani si è molto enfatizzato il raggiungimento del numero record di atleti con qualche evidente forzatura volta ad oscurare il fatto che mai come in questa occasione troppi sport molto popolari come calcio e pallacanestro non hanno conseguito la qualificazione (non impossibile). La eleggibilità di tanti atleti certifica di sicuro la bontà del lavoro condotto dalle Federazioni assistite da Coni e Sport e salute per le differenti e peculiari competenze, ma potrebbe essere un boomerang mediatico e politico nel caso non auspicabile di un risultato globale finale inferiore alle previsioni iniziali.
Ciò non toglie che il grido di "Forza Azzurri " debba essere generale ed entusiasta.
Roberto Fabbricini
Un oro olimpico cambia la vita. Da Tokyo ’64 sono passati sessant’anni ma posso dire che l’Olimpiade mi ha davvero cambiato la vita, soprattutto nel rapporto con la gente. Siano esse persone importanti, sia che si tratti di persone semplici. Anzi, personalmente io ho avuto grande rispetto, lo ricordo bene, da gente del mondo equestre e dello sport in generale, questo è ovvio, ma posso dire che tutti gli altri, saputa la cosa, mi hanno messo in una categoria di persone speciali, qualcosa di simile agli eroi di guerra o per meriti civili.
C’è un episodio, assai divertente, che ha per protagonista un anziano vincitore delle Olimpiadi del ’32 o del ’36: viveva a Palermo e non se la passava molto bene. Così, aveva trovato il modo di fare qualche buon pasto gratis: saputo che doveva arrivare in porto una nave militare, italiana o straniera, si presentava al barcarizzo che portava sul ponte e dichiarava di chiamarsi così e così e di essere medaglia d’oro (senza specificare altro!). La invitavano a pranzo e, siccome era molto simpatico, anche nei giorni successivi. E gli suonavano anche gli onori militari con il trombettiere!
Ovviamente io non ho mai avuto questo trattamento, ma molto rispetto e simpatia sì, dalle persone che avvicinavo nella vita di ogni giorno.
Nel mio caso, la mia vittoria produsse emozioni molto forti in tante persone anziane dell’ambiente equestre, perché nella mia disciplina, il Completo, era stata vinta una medaglia d’argento a squadre molti decenni prima, nel 1920, e sempre nel ’20 Tommaso Lequio vinse l’oro individuale nel Salto Ostacoli. Per quarant’anni niente, fino a Roma 1960, con il trionfo dei d’Inzeo. Il successo strepitoso del 1964 con due ori fu visto come la dimostrazione della superiorità italiana in equitazione.
Molti Colonnelli e Generali di Cavalleria mi adoravano ed alcuni di loro, presenti come dirigenti a Tokyo (il Presidente Lequio, il Segretario Marongiu, il nostro Tecnico Fabio Mangilli, Albino Garbari ed altri) e il Vice Presidente della F.E.I. Bruni, ed altri) erano commossi alle lacrime e mi tributarono sempre grandi onori, ritenendomi un erede diretto del grande Federigo Caprilli, inventore della Tecnica moderna in equitazione, la più vincente in assoluto di tutto il mondo. Tanti grandi cavalieri del passato, anche i più vincenti, mi fecero grandi feste e onori, anche per anni a seguire.
Tutto ciò mi fece una grande impressione e mi legò allo sport per sempre, con un legame disinteressato e convinto di fare qualcosa di utile per i giovani e per la nostra gente in generale; che dura ancora oggi, in un momento di grande confusione etica e sociale.
Avevo 21 anni a Tokyo e fui sommerso letteralmente dall’entusiasmo degli atleti italiani e di tutti i componenti e accompagnatori. Il presidente del C.O.N.I., Giulio Onesti, sempre così serio e controllato, mi abbracciò dicendomi che gli avevo dato una delle più grandi gioie della sua vita, con la nostra vittoria a sorpresa avevamo alzato il livello dell’Italia nella classifica delle Nazioni.
Quanto a me, nel mio intimo, ero certo di essere stato lo strumento per affermare la superiorità della nostra Scuola, grazie alla ferrea dedizione del nostro Tecnico Fabio Mangilli, rigoroso e lucido sempre, prodotto della Scuola di Cavalleria di Pinerolo, e guidato dall’amore per i cavalli e dalla passione per lo Sport, essendo stato anche lui ottimo cavaliere olimpico a Londra 1948.
Insomma Tokyo mi segnò profondamente quale uomo di Sport. Per tutta la vita! L’emozione dell’inno, della bandiera, dei trionfi è rapidamente passata, ma si è trasformata nella forte convinzione di far parte di una squadra giusta, vincente.
Mauro Checcoli
Abbiamo voluto inaugurare questo post, che sarà molto lungo ed articolato, con i ricordi e le impressioni di due persone che hanno attraversato il mondo dello sport italiano ricoprendo ruoli di altissimo prestigio, ma sempre ispirati da quel vento che, una volta respirato per la prima volta nel contesto di una gara olimpica, sarà sempre il rumore di fondo di qualsiasi attività dirigenziale.
Mauro Checcoli, Presidente della FISE, professionista stimato ed apprezzato dell’ingegneria civile, oggi Presidente dell’Accademia Olimpica Nazionale Italiana, vale a dire l’ente che custodisce la cultura sportiva del nostro paese.
Roberto Fabbicini, Segretario Generale del CONI, Capo Missione della squadra italiana in tante edizioni dei Giochi, estivi ed invernali, ma soprattutto Maestro dello Sport.
Già, i Maestri dello Sport. Dal 1968, Giochi di Città del Messico, al 2021, Giochi di Tokyo, i Maestri dello Sport sono stati presenti, ad ogni livello, nello sport italiano. Dal reclutamento alla formazione, dalla specializzazione all’alto ed altissimo livello.
Non sappiamo quante sono state le medaglie conquistate da atleti allenati, preparati o diretti da un Maestro dello Sport.
Qualcuno ne ha contate circa duemila, tra Giochi Olimpici, Campionati Mondiali e continentali.
Ma non è questo quel che conta. Quel che è importante è la loro esperienza, il bagaglio di conoscenze che hanno accumulato in anni ed anni di attività, e che oggi offrono ad altri.
I Giochi di Parigi di cui noi vogliamo narrare su questo blog sono quelli visti e vissuti da chi è stato protagonista nel recente passato, con atleti che sono ormai leggenda, interpretati, più che raccontati, proprio per trasmettere quel qualcosa che anche le più accurate cronache che leggeremo in questi 16 giorni saranno in grado di fare.
Al termine di questa avventura, per noi nuova, ci cimenteremo, coma al solito, con l’analisi dei numeri, calandoli anche nel contesto sociale ed economico di ciascuna nazione protagonista dei Giochi, per misurarne le capacità sportive anche in prospettiva futura.
Accademia dei Maestri dello Sport “Giulio Onesti”