Il nostro sito ha il privilegio di presentare, in anteprima, il libro del collega Armando De Vincentis.
Il libro, del quale possiamo pubblicare, per gentile concessione dell’autore e del Centro Studi della FIDAL, l’indice, la presentazione ed il primo capitolo, è ricco, oltre che di aspetti tecnici e metodologici, anche di situazioni e di personaggi che tutti i Maestri dello Sport ricordano.
Qui, di seguito, riportiamo la premessa dell’autore.
Le esperienze personali solo se vissute con il desiderio di
migliorarsi diventano mezzi utili per insegnarle.
Pur avendo trovato diverse difficoltà nel praticare sport, il mio nome compare due volte tra coloro che hanno migliorato il record italiano del lancio del disco (con m. 63,90 nel 1975 e m. 64,48 nel 1976). Ho partecipato alle Olimpiadi (Monaco ‘72 e Montreal ‘76) e a vari Campionati d’Europa (Helsinki ‘71, Roma ‘74, Praga ‘78), ho vinto titoli nazionali assoluti (5), indossato la maglia azzurra (48 volte, le ultime 10 nelle vesti di Capitano), vinto i Giochi del Mediterraneo (Algeri ‘75 e Spalato ‘79), partecipato e vinto meeting internazionali.
Approcciai la disciplina con il Prof. Carlo Vittori nel lontano 1961, avevo allora 18 anni, poi nel 1964 lui lasciò Ascoli Piceno per andare ad insegnare e allenare a Roma, diventando nell’arco di un decennio uno dei migliori Coach del mondo. Fu così che io, atleta dell’ASA Ascoli, continuai ad allenarmi senza una guida e con discontinuità, dovendo decidere anche cosa fare della mia vita. Solo in seguito, dopo aver superato le prove d’accesso per entrare alla Scuola Centrale dello Sport (primo anno accademico 1966/67), ho potuto praticare regolarmente la disciplina, fruendo delle nozioni che venivo acquisendo con lo studio della “macchina” umana e delle occasionali partecipazioni a stage e raduni federali, ove era possibile confrontarmi e dialogare con atleti di alto livello.
Nelle vesti di Tecnico, ho poi allenato una decina di generazioni di atleti lanciatori (discoboli, giavellottisti e pesisti) che hanno stabilito record, vinto titoli nazionali in tutte le categorie e partecipato a rassegne continentali e mondiali.
Da tempo, diversi colleghi mi suggeriscono di non disperdere tali esperienze, cosa che ho deciso di fare mentre si avvicina il mio ottantesimo compleanno.
Non ho inteso farlo redigendo il solito manuale di tecnica e didattica dei lanci, ma raccontandovi tratti di una storia che parla del mio percorso di atleta e di Trainer, facendovi assistere a cosa facevamo e dicevamo alla Scuola Centrale dello Sport, a colloqui tra noi atleti discoboli circa il nostro fare in pedana (cap.14) e a come insegno a lanciare il disco ad un giovane millennial (capitoli da 5 a 13).
Come accennato, la mia storia di atleta è iniziata nel marzo del 1961 durante una lezione di educazione fisica. Mi trovavo nel chiostro cinquecentesco interno all'Istituto Tecnico Industriale di Ascoli Piceno insieme ai miei compagni della classe 4^ elettrotecnici.
«Ragazzi, oggi iniziamo a provare le discipline previste nei Giochi Sportivi Studenteschi. Devo scegliere tra voi quelli che faranno parte della squadra che rappresenterà il nostro Istituto; alcuni di voi faranno prove di corsa, altri di salti e altri ancora di lanci», disse il Prof. Carlo Vittori, nostro insegnante di Educazione Fisica, già campione italiano sui 100 m negli anni 1952 e 53 e atleta olimpico ad Helsinki 1952.
Nessun disco (allora di gomma dal peso di Kg. 1,750) lanciato dai miei compagni riuscì ad avvicinare il lato opposto del chiostro, il mio andò oltre una delle sue arcate per poi entrare nell'officina meccanica dopo aver infranto la vetrata. Fu così che cominciai a praticare la disciplina rappresentata dal discobolo di Mirone e che, nell'agosto del 1969 allo Stadio Bentegodi di Verona, mi consentì di vestire la prima maglia azzurra.
In quell'incontro internazionale, dove la Nazionale italiana si misurava con la Cecoslovacchia e l'Inghilterra, feci un’ottima figura, giungendo terzo dopo Ludvik Danek (argento alle Olimpiadi di Tokio ‘64, bronzo a quelle del Mexico ‘68, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Monaco ‘72 e primatista mondiale (m. 64,55 nel 1964 e m 65,22 nel 1965) migliorando il mio record personale di un metro e mezzo lanciando a m. 55,70.
Per la cronaca, di quella nazionale facevano parte quattro ascolani, tre atleti e un tecnico: io, l’astista Gianfranco Mariani, il triplista Rinaldo Camaioni e Carlo Vittori (già responsabile federale della velocità e salti), mentre un quarto atleta ascolano, il maratoneta Antonio Brutti, avrebbe dovuto partecipare ad un concomitante evento internazionale, poi rinviato. Cosa rara per una cittadina di 50 mila abitanti come Ascoli Piceno dove il "Dio" calcio imperversa dal 1898 e si praticano diverse discipline sportive (Pallavolo, Basket, Tennis, Ginnastica, Rugby, Lotta, Arti Marziali, Nuoto, Sci, Ciclismo, Pugilato, Tennis Tavolo).
Due mesi dopo l'incontro di Verona partecipai ad uno stage di allenamento a Formia, non più come auditore allievo della Scuola dello Sport ma come atleta, trovando al campo il mitico discobolo Silvano Simeon. Era la prima volta che ci allenavamo insieme. Lui aveva da poco ripreso a lanciare dopo dieci mesi di convalescenza successiva all'intervento chirurgico subito all’arco aortico. Lo aveva operato De Bakey, presso il Medical Center di Huston in Texas, cosa che gli aveva impedito di partecipare da protagonista alle Olimpiadi di Città del Messico (1968).
Silvano era l’atleta che più ammiravo, insieme ai vari Adolfo Consolini, Livio Berruti, Silvano Meconi, Enzo Cavalli, Giuseppe Gentile, Salvatore Morale, Roberto Frinolli, Giacomo Crosa, Erminio Azzaro, Eddy Ottoz, Renato Dionisi, Carlo Lievore, Franco Radman, Sergio Ottolina, Pasquale Giannattasio, Ennio Preatoni, oltre ovviamente alle brave e belle atlete dell'epoca, quali Paola Pigni, Ileana Ongar, Luigina Tonelli, Maria Vittoria Trio, Giuliana Amici.
Era gratificante potersi allenare con Silvano. Nessuno al mondo prima di lui aveva lanciato vicino a 62 metri all'età di 22 anni (61,72 a Livorno nel 1967), cosa che lo aveva portato al 4° posto nella graduatoria mondiale e a rappresentare l'Europa nell'incontro con gli Stati Uniti. Lui era il mito, il grande talento, si comprende pertanto quanto quella occasione, in quel periodo, fosse per me di grande utilità.
Fin poco prima “l’avvento” di Silvano, il gesto del lancio del disco era visto dai Tecnici italiani simile a un passo di valzer viennese, fatto in due ondate, e in tal modo lo si approcciava ai giovani. Oberweger, Tosi, Consolini, Dalla Pria ne erano stati gli interpreti. Nulla si argomentava allora su come azionare i piedi a terra, sugli anticipi, le accelerazioni, sulla dinamica della catena cinematica, tutto era lasciato all'istinto e alle naturali capacità fisiche dell'atleta. Silvano era l’interprete talentuoso che stava cambiato quel modo di concepire il lancio.
Tutto accadeva mentre frequentavo la Scuola dello Sport, luogo di grande fermento speculativo, dove nulla si accettava tout court sulla motricità umana. Le lezioni di fisiologia (Prof. Cerquiglini, Prof. Viss), di biomeccanica (Prof. Dal Monte), di metodologia dell'allenamento (vari Commissari Tecnici di Nazionali Italiane e straniere), si facevano sempre più interessanti, aprendoci a nuovi orizzonti. Come e perché l'essere umano riesce a muoversi a velocità diverse e con spese energetiche diverse? Cosa rende più o meno efficace un gesto motorio ai fini della prestazione? Quali e quante possono essere le espressioni della forza? Erano i nostri mantra giornalieri, oggetti di discussione con i docenti.
Potete immaginare, pertanto, quale poteva essere il dialogo tra me e Silvano già in quel primo allenamento fatto insieme, cosa di cui vi parlerò nell'ultimo capitolo di questo mio racconto.
Di quanto accennato parlerò nei 14 capitoli che seguono, corredati di immagini, sequenze di lanci e relative note esplicative. Argomenterò sulla tecnica e didattica del lancio del disco, ma anche sulla sua dinamica, biomeccanica e anatomia funzionale, partendo da quelle speculazioni iniziate sul finire degli anni ‘60 e mai cessate nel corso degli anni.
Proponendovi questo mio scritto non ho, ovviamente, la pretesa di asserire verità inconfutabili.
Seguitemi se siete interessati.