26/12/2015

La notizia è giunta improvvisa. Carlo Vittori è morto.

Appena pochi giorni fa era a Formia, alle celebrazioni dei 60 anni del Centro di Preparazione Olimpica. Aveva ancora i postumi della frattura al femore dello scorso anno, ma appariva in forma e, soprattutto, aveva ancora quella verve dialettica che tutti noi conoscevamo.

Nei tre anni della Scuola Centrale dello Sport ci ha fatto soffrire: corse, piegamenti, balzi alternati, esercizi di coordinamento, poi gli esami ed era il terrore. Ma ci ha insegnato tutto ciò che sapeva, che scopriva con il suo spirito di esplorare sempre nuove frontiere. Ci ha insegnato il rigore e la correttezza, la serietà dell’impegno, il rispetto di chi avevamo di fronte o al fianco.

E’ una parte importante di tutti noi e non lo dimenticheremo.

Vogliamo ricordarlo qui proprio con le parole di Gianfranco Carabelli e di Marco Parigiani, suoi allievi e con l’intervista, raccolta da Franco Fava, a Marcello Fiasconaro.

Ciao Professore!


‍ In pochi hanno avuto il privilegio di appartenere alla ristretta cerchia dei suoi collaboratori, ma per noi, tutti, sarà sempre uno dei nostri.

‍ In ognuno di noi c'è una traccia del suo insegnamento, della sua voglia di sapere e di conoscere anche in età avanzata, che lo ha portato a privilegiare il ruolo dell' educatore su quello del tecnico sportivo.

‍ Impegnamoci, ognuno come può e vuole, a  rispettare quanto ci ha voluto insegnare e a continuare sulla sua stessa strada, fatta più di difficoltà che di facili successi, più di avversari che di amici veri. 

(Gianfranco Carabelli)


Carlo Vittori è stato il mio insegnante di Preatletismo alla Scuola Centrale dello Sport. 

Vittori era uno studioso severo dei meccanismi che regolano l’allenamento. Un metodologo straordinario, un insegnante ruvido ma esaustivo. 

Quelli erano i tempi degli allenatori maghi, ma lui non si vantava di possedere la pietra filosofale, la sua magia era lo studio. 

A noi, i suoi allievi della Scuola, soleva dire: “Io non ho segreti ne magie. Tutto quello che so e che conosco è esattamente quello che vi racconto e vi insegno. La vera magia è che io, questa sera, quando tornerò a casa, continuerò a studiare e a pormi domande. Voi, molto probabilmente, questa sera quando tornerete a casa, vi metterete a guardare la televisione convinti che quello che vi ho raccontato rappresenti tutto ciò che c’è da sapere.” 

Quando io e Mario Andolfi abbiamo pubblicato il libro “Preparazione Atletica”, ne abbiamo fatto avere una copia a Vittori. Temevamo il suo giudizio più di ogni altra cosa. 

Dopo qualche tempo, stavo negli uffici della Scuola dello Sport, Mi sento chiamare: 

“Maestro Parigiani” 

Era Vittori. 

“Ho visto il suo libro sulla preparazione atletica. Devo fare i miei complimenti a lei e al Maestro Andolfi. Il vostro è stato un lavoro veramente rigoroso!” 

Quel commento, e la stretta di mano che ne è seguita, è stato per me un momento di grandissima gratificazione. 

Professor Carlo Vittori, uno dei più grandi, straordinari uomini di sport che ho mai conosciuto.

(Marco Parigiani)


Sono profondamente colpito per l'improvvisa scomparsa di Carlo Vittori: un grande uomo e tecnico cui devo molto. E' grazie a lui che sono arrivato al record del mondo degli 800". E' il commento di Marcello Fiasconaro da Città del Capo appena appresa la notizia della morte a 84 anni del tecnico che legò il suo nome alle imprese di Pietro Mennea e della staffetta azzurra. Ma che seguì anche l'italo-sudafricano, che la sera del 27 giugno del 1973 all'Arena di Milano frantumò il primato del mondo degli 800 metri correndo in 1:43.7.

"Quell'impresa la studiammo a tavolino, a Formia, già sei mesi prima. Fu una preparazione meticolosa, costruita giorno dopo giorno, senza i suoi consigli non sarei mai arrivato a quel record – ricorda Fiasconaro dal Sudafrica – Ho sempre apprezzato la sua onestà intellettuale, ma anche la severità e la totale dedizione con la quale il “Prof” faceva il suo lavoro. E a molti non piaceva quel suo carattere spigoloso, poco incline ai compromessi. Forse per questo in tanti non gli hanno riconosciuto tutti i meriti, tecnici e umani. Che sono tanti e vanno oltre quelli di essere stato colui che ha plasmato Pietro Mennea. Con Vittori ero rimasto in contatto anche dal Sudafrica. Ci sentivamo al telefono almeno una volta l'anno per gli auguri di Natale. Oggi non potrò chiamarlo, se ne è andato lasciando un gran vuoto. Mi mancherà".

(Franco Fava)


Era una bella mattina di Novembre. Anno domini 1968.

Tutt’intorno, gli alberi, il verde dei campi sportivi e dei prati dell’Acqua Acetosa, si mostravano in un meraviglioso effetto cromatico facendo risaltare oltre che il luccichio dell’erba bagnata dalla rugiada, i rossi e i gialli di quell’autunno romano semplicemente straordinario.

Era poco prima delle 07.30 e noi, allievi del terzo corso della SCUOLA CENTRALE dello SPORT, in divisa da lavoro (come da regolamento) trafelati e un po’ infreddoliti, attraversavamo il corridoio porticato diretti verso la grande palestra per la nostra prima ora di lezione di quell’anno accademico: PREATLETISMO GENERALE (prof. VITTORI CARLO)

Entrammo e, in religioso silenzio, ci disponemmo in riga su un lato della palestra. Il Prof. giusto al centro, camminava nervosamente (come di solito) avanti e indietro con passi corti calciati verso l’avanti. Sembrava non prestasse attenzione a noi ma, di tanto in tanto, il suo sguardo penetrante, anche se sfuggente, ci fotografava e, ogni volta che lo faceva, le narici del suo naso sfilato e prominente si allargavano come quelle di un toro davanti al matador. A tratti, repentinamente, cambiava direzione e aveva sempre qualche dito della mano in bocca per “aggredire”, in maniera quasi voluttuosa, le ultime pellicine che, poi, ultime non sono mai.

I nostri colleghi degli anni precedenti, avevano fatto di tutto per intimorirci descrivendo quella lezione e, soprattutto il docente, come tra le più…”toste”.

Ma io, all’epoca ero una…”roccia”. Ero forte, resistente, veloce e coordinato. Non temevo il dolore fisico e, soprattutto, non conoscevo cosa fosse la fatica. Per questi motivi mescolati ad un po’ di curiosità, affrontai quella lezione senza alcun timore. Ma…mi sbagliavo.

Dopo circa mezz’ora, infatti, cominciai a perdere qualcuna delle mie certezze. A quel punto, appena la stanchezza ci faceva abbassare l’intensità esecutiva o ci portava a ridurre l’escursione del gesto, ecco puntuale l’urlo del Prof. che, più che una voce umana, somigliava al…”ruggito” di una bestia feroce sul punto di aggredire la preda. Immediatamente, quel suono, ci riaccendeva i sensi e, sorprendentemente, come d’incanto, ci faceva sparire la fatica. Quindi, dopo quella “vibrazione acustica” così terapeutica, continuavamo tutti a muoverci con nuova lena.

Uscimmo sotto il porticato grondanti di sudore commentando quella traumatizzante prima ora di lezione.

Vicino la vasca del cigno, la grande carpa sembrava volesse deriderci muovendo la bocca come qualcuno di noi “affamato” di ossigeno. Sembravamo anatre starnazzanti e non ci risparmiavamo ad apostrofare con epiteti non proprio gratificanti il nostro “caro” docente Prof. Carlo Vittori.

Io credo che chiunque, lungo il proprio corso di studi, si sia imbattuto almeno con un professore temuto più degli altri. Ecco, il Prof: Vittori, dopo quella prima ora, con prepotenza, si era posizionato ai vertici di quella sgradevole classifica nonostante non conoscessimo nessuno dei componenti il restante corpo docenti.

Ma, come spesso succede, il maestro più temuto è quello che lascia i migliori insegnamenti e, il Prof. Vittori, a tutti noi Maestri dello Sport, ci ha “regalato” una formazione che va molto al di la di quella strettamente tecnica.

Il non mollare mai, la “rabbia” nell’affrontare la vita con i suoi molteplici problemi e, soprattutto, la sua perenne sete di sapere, credo siano tra gli insegnamenti più grandi che ci ha trasmesso e lasciati in eredità.

Durante la sua esistenza è stato sempre un personaggio…scomodo, soprattutto nei rapporti interpersonali perché, a ragione o a torto, si esprimeva sempre con estrema schiettezza e, solo i disonesti e gli ignoranti non apprezzavano la sua onestà e il suo sapere.

Ora, caro Prof. hai percorso l’ultimo tratto di pista della tua vita andandotene in silenzio (…e questo non è da te!!!) proprio il giorno in cui è nato GESU’. Mi chiedo: non è che lo hai fatto per attenuare la tristezza di chi ti ha sempre amato e stimato visto il clima festaiolo che si respira in questi giorni???

Voglio chiudere, questa mia breve testimonianza, con una considerazione gratificante che mi riguarda. Se ora ostento sicurezza durante i miei insegnamenti universitari, se ancora atleti professionisti mi vengono a chiedere consigli tecnici ma, soprattutto, se a 70 anni suonati ho ancora tanta passione e tanta voglia di fare e di sapere, tutto questo lo devo a te caro…Maestro e, una cosa che mi conforta è che, anche ora che ci hai lasciato, i tuoi insegnamenti mi aiuteranno ancora con la speranza che io, a mia volta, li sappia trasferire ai miei allievi. Grazie CARLETTO!

(Bruno Petti)


Carlo Vittori da quando ha smesso di fare la corsa da atleta è stato per tutti “il Professore”. Professore di tutti ma non per tutti. Perché Vittori è stato il maestro della velocità. Quella gara bruciante sui 100 e 200 metri, in cui devi dare l’anima in una manciata di secondi.

Il “Professore”, così si disse, non proprio come battuta, lo chiamasse anche la moglie Nadia. Vittori era “un ultras di se stesso”, non dava e non voleva confidenza. Era persino nemico di se stesso. Raccontano i bene informati che nella sua stanzetta del Centro di Preparazione di Formia, il Professore si chiudesse in religiosa solitudine e litigando con la sua anima preparasse le tabelle d’allenamento. Voleva obbedienza assoluta.

Fino al 1954 il velocista era lui. E nel 1952 partecipò all’ Olimpiade di Helsinki. Sempre come velocista. Ma la sua grande affermazione sportiva la ebbe a bordo della pista: da allenatore. Fu l’artefice delle più grandi imprese dell’atletica italiana.

La grande qualità di Carlo Vittori era quella di saper tirar fuori il massimo dai suoi allievi. Con un rigore sacerdotale applicato alle sue equazioni.

Fu all’inizio degli anno 70, però che il Professore incontra Pietro Mennea da Barletta, un altro maniacale introverso che sa tirar fuori una capacità sovrumana di resistenza alla fatica. Vittori-Mennea o Mennea-Vittori è la coppia vincente.

Una guerra di nervi che permise, però, di scrivere le pagine più importanti dell’atletica italiana. E Vittori non fu solo questo. Perché lo scorbutico tecnico ascolano, dietro il fumo azzurrognolo dell’ennesima Marlboro, studiò anche la successione di passi di Marcello Fiasconaro, primatista mondiale sugli 800 metri dal 1973 al ’76. Lo stacco del saltatore in alto di Giacomo Crosa, sesto all’Olimpiade di Città del Messico 1968, con la misura di 2,14 metri.

La progressione di Donato Sabia, mondiale indoor under 23 con 1’15”77 e record del mondo sui 500 con 1’00 e 01. E per chiudere in bellezza ai bordi della pista nel 1983 all’Olimpiade di Helsinki, portò alla medaglia d’argento la staffetta 4×100: Tilli, Simionato, Pavoni e Mennea.

Decine e decine di Maestri dello Sport, infine si sono formati alle sue lezioni e sui suoi testi .E non solo, perché Vittori rimise in piedi Roberto Baggio, reduce da una serie d’interventi chirurgici, quand’era nella primavera della Fiorentina.  Se qualcosa è mancata  e forse anche volutamente al Professore è l’assenza di un erede di Vittori. Forse a conferma di un detto popolare che dice che sotto le querce crescono solo degli alberi nani.

(Gianni Bondini)


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In una magnifica serata romana, quando l’aria è tersa e asciutta perché c’è il ponentino, in uno Stadio Olimpico stracolmo di gente, io lanciai oltre il record italiano.

La mia gioia istintivamente mi portò al centro dello stadio e li, piantato a terra con l’atteggiamento di chi esprime fierezza alzai il braccio e indicai un punto ben preciso dello stadio, la dove c’era il Professore. Tutti videro e capirono sommergendoci con un fragoroso applauso. Il record era anche suo, anzi nostro, dell’ASA, rappresentava i suoi insegnamenti e con essi Ascoli Piceno, la nostra città, la nostra storia.

Ora lui è lassù, con Giulio Onesti, con Bruno Zauli, con Giorgio Oberweger, con Sandro Calvesi, con Pietro Mennea, i grandi della storia dello sport italiano, ma anche con Vittorio Roiati, con Galosi, con Bimarini, con i Bracciolani, con i suoi fratelli – Guido e Mimì – che adorava, personaggi che hanno dato alla nostra città valori e insegnamenti inestimabili.

Carlo Vittori è stato uno sprinter, il più veloce d’Italia agli inizi degli anni 50, e ha gareggiato nel fuoco di Olimpia. Ha sempre sostenuto che per correre veloci sono necessari duro lavoro, “cuore e nervi saldi” ( per citare il titolo del suo ultimo libro), poi da Tecnico ha constatato che molti dei valori essenziali al mondo sportivo andavano scemando e non ha esitato ad esprimere il suo disappunto, che in più occasioni è diventato rabbia, persino ira.

Un suo modo di essere coerente con il proprio credo che lo ha spesso posto in contrasto con i gestori del suo mondo, ed anche portato a rinunciare a  privilegi  (anche economici), viceversa assegnati a molti dei suoi numerosi colleghi e allievi.

Lascio la sua ASA Ascoli per andare ad insegnare alla Scuola Centrale dello Sport contribuendo, insieme ai colleghi docenti e ai suoi allievi Maestri dello Sport, a portare lo sport nazionale ai massimi livelli mondiali. La Scuola Centrale dello Sport è stata in quegli anni la Via Panisperna della ricerca scientifica applicata allo sport.

In seguito, quale responsabile della velocità presso la Scuola di Formia, ha portato gli atleti che ha allenato a conquistare 37 medaglie, tra Olimpiadi, Campionati Europei e Mondiali. Oggi i suoi libri sono letti in tutte le Università del Mondo.

A tutti noi, suoi atleti e suoi allievi, non ha mai lesinato elogi e rimproveri, alcune volte ha saputo anche ferirci, ma anche le ferite insegnano a vivere e al Prof. si può soltanto voler bene e mostrargli infinita gratitudine.

Gratitudine che va anche alla Signora Nadia, sua dolce compagna di vita, che ha saputo con amore dividere il suo Carlo con gli eventi di un mondo molto esigente, così come ai suoi cari che noi ascolani  abbiamo avuto l’onore di conoscere.

Carlo è parte della nostra vita impossibile dimenticarlo, sarà sempre con noi.

(Armando De Vincentis)

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Un’esistenza nell’atletica e per l’atletica, questa la traiettoria umana e professionale di Carlo Vittori, l’uomo che ha scelto un sonno pomeridiano della vigilia di Natale per salutare vita e prossimo, ottantaquattrenne, dalla sua residenza ascolana. Scompare con lui, fisicamente, a poche ore di distanza dalla morte di Mario Andreoli, che fu per lunghe stagioni forte compagno di lavoro, una testimonianza diretta di territori sportivi toccati ed esplorati prima nell’esuberanza agonistica degli anni giovanili e successivamente arricchiti nelle prospettive di una carriera interamente versata all’insegnamento e alla scienza allenativa.

Polemista ad oltranza, grandezza e pure limite d’una personalità tanto forte quanto esposta all’intolleranza, Vittori era nato sulla linea pedagogica dettata agli inizi degli anni Cinquanta da Bruno Zauli, il dirigente nei cui confronti fu per lunghe stagioni debitrice la migliore cultura espressa dall’organizzazione sportiva nazionale. Velocista d’istinto e di costruzione, Vittori nobilitò il suo curriculum agonistico vestendo in otto occasioni la maglia azzurra, conquistando due titoli assoluti sui 100 metri con la maglia della Libertas Ascoli e archiviando la carriera con primati personali di 10.6 e 21.6. Diplomatosi al primo corso del dopoguerra dell’Istituto Superiore della Farnesina, inserito progressivamente nei ruoli tecnici della Federazione italiana, visse collateralmente a fianco di Giorgio Oberweger i fermenti iniziali della Scuola dello Sport voluta nel 1966 da Giulio Onesti e da Marcello Garroni.

Acquisita la responsabilità del settore salti e della velocità nazionale avendo come base operativa la Scuola Nazionale di Atletica di Formia, Vittori contribuì negli anni, in varia misura, alle crescite tecniche di Giacomo Crosa, Erminio Azzaro, Gianmarco Schivo, Marcello Fiasconaro, Donato Sabia, Carlo Arrighi, Pierfrancesco Pavoni, Stefano Tilli. Totalizzante fu soprattutto il rapporto con Pietro Mennea. Dopo i dubbi iniziali espressi dal tecnico circa le effettive possibilità dell’atleta, la cui cura gli fu in pratica imposta dalla dirigenza federale dell’epoca e in prima persona da Primo Nebiolo, a partire dal settembre del 1971 prese il via un sodalizio – non sempre agevole con un atleta facile all’irriconoscenza, e tra alti e bassi con i vertici federali – che avrebbe condotto alle affermazioni del velocista barlettano sulle piste internazionali di Monaco, Praga, Città del Messico e di Mosca. Inflessibile nel non perdonare le deviazioni da una pratica agonistica corretta, gli capitò un giorno, era il 1984, Giochi di Los Angeles, di leggere con sgomento un pezzo di carta dove erano segnate le chiamate telefoniche effettuate da Mennea in direzione di un medico, Robert Kerr, che tutto era fuorché fedele depositario delle regole di Ippocrate.

Una breve parentesi portò il tecnico ascolano, in due occasioni, a contatto diretto con il calcio, prima nella preparazione atletica dei settori giovanili della Fiorentina e nell’85, dopo un incidente che aveva seriamente compromesso il futuro del fuoriclasse vicentino, ricostruendo in poche settimane nella Scuola formiana un ginocchio di Roberto Baggio. Breve parentesi, perché il filo diretto con l’atletica, anche nei cinque anni di docenza, dal 1998 al 2003, nell’Università di Tor Vergata e negli ultimi, dirompenti e talora contraddittori rapporti con un mondo esposto nel bene e nel male alle diversità dei tempi, rimase incorrotto fino agli ultimi istanti nella ragione e nel cuore di un tecnico e di un educatore che ha segnato un’epoca dello sport nazionale.

(Augusto Frasca)


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Ho avuto il piacere di conoscere Carlo Vittori alla Scuola (Centrale) dello Sport di Roma nel 1969, dove avevamo entrambi l’incarico di insegnamento: lui di preatletismo generale e di atletica leggera ed io di metodologia dell’allenamento per le medie e lunghe distanze dell’atletica leggera.

Frequentandoci nacque una grande amicizia e condivisione di interessi per tutto ciò che riguardava l’allenamento. Durante le discussioni emergeva la grande complessità della personalità di Carlo: uomo orgoglioso della sua storia di atleta e dei suoi molti titoli italiani vinti nei 100 metri ed otto volte azzurro e del rimpianto di una partecipazione poco brillante ai Giochi Olimpici di Helsinki.

Severo e rigoroso ostentava con orgoglio la sua etica sul e del lavoro. Allenatore generoso, ma anche rigorosissimo con i suoi atleti durante l’allenamento, capace tuttavia di stemperare la sua intransigenza con giudizi ottimistici sul buon lavoro svolto e di incoraggiamento per i progressi che si intravedevano a breve termine.

Ha scritto la storia italiana della squadra dei velocisti, di cui Mennea è stato il simbolo più noto, ottenendo per molti anni successi e medaglie, ai Campionati europei, ai mondiali ed alle Olimpiadi.

A Carlo Vittori si deve riconoscere il notevole apporto alla creazione di una innovativa, per l’epoca Scuola (Centrale) dello Sport attraverso il felice amalgama tra la cultura scientifica e la necessaria applicazione pratica delle teorie, per giungere alla formazione dei Maestri dello Sport. Il suo impegno costante era rivolto alla evoluzione del processo formativo degli allievi della Scuola e degli atleti che per lui rappresentavano il riscontro concreto dei suoi pensieri di grande professionista.

E’ stato quindi un grande innovatore ed un precursore dei tempi per quanto riguarda le metodiche, l’allenamento e, senz’altro uno dei grandi dello Sport italiano.

La FIDAL gli ha assegnato la sua più alta onorificenza, la “Quercia al merito sportivo di 3° grado”.

Mi piace ricordare infine, anche un Carlo socievole, spiritoso, con un raffinato senso dell’umorismo, arguto e sottile, che fa apparire distante l’altro lato del suo carattere, ombroso quando non riscontrava l’impegno – commisurato al suo – degli interlocutori studenti, atleti, colleghi o dirigenti che fossero.

(Ercole Matteucci)



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