11/11/2016

Vi entrò in orbace, ne uscì in camicia rossa. Tutt’altro che rarità dell’epoca, la metamorfosi del futuro presidente del Coni fu consacrata nel rifugio clandestino allestito dalla Santa Sede nel complesso extra territoriale del Laterano. L’insegna dirigenziale della fascistissima Opera Nazionale Dopolavoro, conquistata a pieno titolo nel ‘38 a margine del Congresso mondiale allestito al Circo Massimo, fu seppellita e sostituita nel giugno del ’44 dalla tinta spigliata del socialismo nenniano in coincidenza con l’ingresso tra le mura aureliane, in una Roma per più parti ridotta ad ossario, delle truppe della V armata statunitense comandata da Mark W. Clark. Tra giugno e luglio, lo stadio dei Marmi si aprì a competizioni di atletica delle Forze alleate, insieme con spettacoli di varietà: tra gli intrattenitori, due nomi prossimi alla celebrità internazionale, un ventinovenne cantante di padre siciliano e madre ligure a nome Frank Sinatra e un caporale dei servizi speciali, Burt Lancaster, volontario ed ex acrobata. Per il trentaduenne Giulio Onesti l’antica residenza papale disegnata da Domenico Fontana non aveva segreti. Ne era uscito il 17 marzo 1939 con una tesi su Tertulliano e la sua dottrina sul matrimonio interamente discussa, secondo dettato della Pontificia Università Lateranense, in latino, aggiungendo agli studi in giurisprudenza completati presso la Sapienza, dopo la maturità classica conseguita al liceo Terenzio Mamiani avendo compagno di classe Giuseppe Russo, verbo aristocratico della disciplina atletica, la laurea in Diritto canonico e la qualifica di Doctor renuntiatus, unica valida per l’iscrizione nei tribunali religiosi.  

(Immagine, rara, di Onesti canottiere sul Tevere)


Nominato Reggente del Comitato olimpico nazionale italiano da un decreto prefettizio, Onesti dovette attendere due anni prima che la più alta carica dello sport italiano acquisisse credenziali democratiche. Avvenne il 27 luglio 1946 in una rovente mattinata milanese fiaccata dal caldo, la maggioranza dei presenti, come testimonia una rara iconografia, in maniche di camicia, con poche eccezioni, compresa quella d’uno dei genearchi dello sport italiano, l’ingegnere torinese Carlo Montù, pioniere dell’aviazione, pluridecorato, primo pilota al mondo ferito in un’azione di guerra, cieli della Cirenaica, gennaio 1912. Per quella storica riunione, avvio di un’oligarchia affidata all’eternità, cui solo un assalto procedurale portato trentadue anni dopo da un principe delle pedane schermistiche avrebbe messo termine, venne aperto il salone della Club House del Tennis Club Milano, padrone di casa Alberto Bonacossa, conte, ingegnere chimico, quattordici titoli nazionali nel pattinaggio su ghiaccio, prima categoria nel tennis, organizzatore nel 1930 della prima edizione degli Internazionali d’Italia, presidente in vari periodi di sei Federazioni, membro del Comitato olimpico internazionale dal 1925.   

(27 luglio 1946, Milano, sede del Tennis Club, Consiglio Nazionale del CONI. Al centro, da destra, Bruno Zauli, Onesti, Alberto Bonacossa e Carlo Montù.)

Presenti rappresentanti di 23 federazioni, 16 voti a scrutinio segreto celebrarono l’affermazione di Giulio Giorgio Gustavo Onesti, nato a Torino il 4 gennaio 1912 da Lino, ingegnere, ed è il terzo di questa sintesi storica, capo servizio al ministero dei Trasporti, originario di Incisa Scapaccino, e da Giuseppina Maria Coppa, il restante dei consensi essendo stato accreditato ad Aldo Mairano, l’uomo che alla testa della pallacanestro italiana avrebbe di lì a poco gettato le basi per la crescita progressiva sul territorio nazionale della disciplina inventata nel 1891, in un collegio dell’Ymca del Massachusetts, con le prime tredici regole del gioco, dal pastore protestante d’origini canadesi James Naismith.

Homo loquens di rara efficacia e di accorto dosaggio, poco sensibile a ripiegamenti sentimentali, tagliente nei giudizi, maestro della dissimulazione, a suo modo solitario, Onesti, più che amarli, gli uomini preferiva giudicarli. Misurandone l’intelligenza, e con essa, da conoscitore, la spregiudicatezza. Sedotto, con rarissime interruzioni, dal convincimento della propria superiorità nei confronti del prossimo – comunque del prossimo dello sport, compreso un calcio nazionale che sarà spesso bersaglio dell’icasticità delle sue esternazioni – il giorno dopo la sua elezione aprì il libro dei problemi di un ente ridotto alla povertà, preda degli inevitabili flussi e riflussi ideologici dell’epoca, privo d’identità e additato spesso con fastidio, o con appetiti, dai palazzi governativi.  Da una parte, ricerca affannosa di finanziamenti, revisione della polverosa legge istitutiva del Coni, verifica e tutela degli impianti esistenti, messa in regola dei rapporti tra nord e sud del territorio nazionale. Dall’altra, con l’apporto determinante di Bonacossa e di Bruno Zauli, neo segretario generale dell’ente olimpico, la ripresa dei rapporti internazionali, compromessi dall’essere l’Italia nazione uscita sconfitta dal conflitto bellico. Colpo grosso, mentre le ultime giocate legate al campionato di calcio lasciavano intuire buoni futuri per le casse dello sport, il via libera ad una rappresentativa italiana ai campionati europei di atletica, Oslo, gare al Bislett Idrettsplass, 22-25 agosto. Quell’invito, esteso all’esordiente Unione Sovietica e negato a Germania, Austria, Bulgaria e Romania, fu molto più di un riscontro simbolico, poiché spazzò via ogni incertezza sull’ammissione dell’Italia ai Giochi di Londra del 1948, diversamente dall’atteggiamento di chiusura tenuto dal Comitato olimpico internazionale nei confronti di Germania e Giappone.

Con l’inizio di uno snervante e rischioso trasferimento aereo dall’aeroporto di Linate – tre giorni di viaggio, disagi d’ogni tipo, cieli infernali, pessime accoglienze e tappe forzate ad Istres, Parigi e Brema, città fantasma – il 18 agosto 1946 Onesti firmò la sua prima trasferta all’estero. L’aereo, un Savoia Marchetti 95 T del 98° Gruppo trasporti, unico disponibile, messo a disposizione dal Governo. Pilota, il capitano Manlio Lizzani, classe 1910, medaglia d’argento al Valor militare, fratello maggiore del futuro regista Carlo, collega in armi di Giorgio Oberweger.  

(Manlio Lizzani, pilota dell’avventurosa trasferta norvegese, esordio estero per il neo eletto presidente del CONI)

Gli stessi, aereo e pilota, che due mesi prima, il 13 giugno, avevano condotto all’esilio portoghese di Cascais il re di maggio Umberto di Savoia. Con Onesti, quindici atleti, Edera Cordiale disco, Amelia Piccinini peso e lungo, Carlo Monti 100, 200 e 4x100, Giusto Cattoni 100 e 4x100, Michele Tito e Carlo Manara 4x100, Vanes Montanari 200, Luigi Paterlini 400, Giuseppe Beviacqua 10.000, Alfredo Campagner alto, Egidio Pribetti lungo, Teseo Taddia martello, Armando Ossena decathlon. Sul volo, i tecnici Giorgio Oberweger, risolutivo nella sua polivalenza linguistica, ed Elio Ragni, componente della gloriosa quattropercento seconda classificata nella Berlino olimpica del 1936, il duca Francesco Ruspoli di Morignano delegato per il Congresso della Iaaf, Giovanni Guabello segretario federale, Giorgio Giubilo portavoce del Coni, Gianni Brera, unico inviato della stampa italiana, per la Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport e Tuttosport legati agli avventurosi servizi delle agenzie del tempo. Il 28 agosto, giorno del rientro in tre tappe, Onesti salì sull’aereo condotto con lucida perizia da Lizzani con il primo e il secondo posto di Consolini e Tosi, il terzo di Piccinini nel peso e di Monti sui 100, il quarto di Piccinini e Pribetti nel lungo, il sesto di Campagner e Taddia.  

(Bruno Zauli con due colossi dell’atletica azzurra, Adolfo Consolini e Beppe Tosi. Al centro, il giornalista Natale Bertocco.)

Fu un consuntivo di grande dignità, merito d’una generazione appena emersa dalle tragedie belliche e nata in forte misura dagli epigoni d’una disciplina che nel decennio precedente, con l’eccezionale impulso del patrizio fiorentino Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano al vertice federale, con le inedite intuizioni tecniche d’un allenatore chiamato dalla California a svegliare i cervelli italiani, Boyd Comstock, e con Facelli, Beccali, Lanzi, Testoni, Valla, Tavernari, Beviacqua, Maffei, Mariani, Vandelli, Oberweger e con il giovanissimo Missoni, aveva firmato il suo primo rinascimento. Al rientro a Roma, con gli introiti del concorso pronostici cresciuti in maniera esponenziale nelle ultime partite del campionato, Onesti poteva aggiungere alla decisiva ripresa dei rapporti internazionali la consistenza di una cassaforte destinata, di lì a poco, con la definitiva consacrazione del Totocalcio, a garantire sonni tranquilli all’apparato istituzionale. Un apparato che avrebbe preso fisicamente possesso del palazzo H solo nel 1951, il 28 febbraio, dopo l’uscita di scena delle truppe americane con l’invio oltre Oceano dell’ultima salma e dopo lo smantellamento dell’Albergo Felix, allestito nei locali progettati da Enrico Del Debbio e attivato nelle vigilie del 1950 per l’accoglienza dei pellegrini accorsi per il primo Giubileo del dopoguerra. L’anno 1981, dopo trenta e più anni di dominio e tre di sofferto pensionamento, Giulio Onesti si spegneva.

Augusto Frasca

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